La casa degli spiriti
La maestria di chi scrive è intingere la penna nell’inchiostro della propria storia personale e tracciare con esso segni mai conosciuti prima: ed è per questo che, senza timore di smentita, possiamo annoverare il nome di Isabel Allende tra quelli dei più grandi autori della letteratura contemporanea.
“La casa degli spiriti“, edito nel 1982 e portato in Italia da Feltrinelli l’anno seguente, attinge a piene mani nella storia familiare dell’autrice.
Un romanzo corale a forte trazione femminile nel quale le vicende politiche del Cile si fondono al mondo degli spiriti e l’amore e le passioni si mescolano all’apparizione di animali fantastici e ad assurdi viaggi: tra le pagine di questo libro il realismo magico sudamericano ha trovato la sua più pura sublimazione.
Il Sud America permea ogni pagina: sia per l’evoluzione storica che attraversa a grandi passi un secolo, a cavallo tra i residui della nobiltà agraria di fine ottocento ai moti rivoluzionari e studenteschi degli anni settanta, sia per la pasionariedad di tutti i personaggi che si affacciano come protagonisti o comprimari nel romanzo corale della famiglia.
La narrazione asciutta e senza fronzoli della Allende è fondamentale per dipanare i fili della dinastia che si struttura pagina dopo pagina, come da prassi nella tradizione del grande romanzo sudamericano: se avete pensato a “Cent’anni di solitudine“, avete pensato bene. Si potrebbe,anzi, dire che se si è amato il romanzo di García Márquez è impossibile non amare “La casa degli spiriti“, che pure è apprezzabilissimo, per l’unicità del suo concreto misticismo, anche da chi ha faticato un po’ ad approcciare le vicende della famiglia Buendìa.
Per coloro che sono convinti che “Se non c’è il film non è un bel libro“: un cast con – tra i vari – Jeremy Irons, Meryl Streep, Glenn Close, Antonio Banderas, Winona Ryder e Vanessa Redgrave può bastare?
Articolo di Paolo Palladino.